Jet lag da Seoul, sveglia alle 5 del mattino e… biscotti! ☕️
Quando il fuso orario ti regala ore extra nel cuore della notte, tanto vale trasformarle in profumo di caffè e zucchero.
Sono nati così questi biscotti morbidissimi al caffè d’orzo e al caffè; semplici, profumati e perfetti da personalizzare con quello che si ama di più!
Dalle nocciole tritate all’amarena sciroppata in pezzi; alla scorza d’arancia candita alle noci o mandorle … Sicuramente un’esperienza da assaporare!
Ingredienti (per circa 12 biscotti):
70 g farina di riso
80 g farina tipo 0
6–8 g caffè d’orzo solubile
5 g cremor tartaro
2 g bicarbonato
15 g fecola di patate
30 ml olio di semi
15 ml caffè ristretto
40 ml acqua
40 g zucchero
Zucchero a velo
Procedimento:
Setaccia tutte le polveri in una ciotola. Aggiungi olio, acqua e caffè, poi mescola fino a ottenere un impasto compatto che si stacca dalle pareti. Forma delle palline e disponile su carta forno. Cuoci in forno statico a 180°C per 13–15 minuti. Spolvera con zucchero a velo e… goditi la colazione più profumata della giornata.
Questa TORTA di MELE 🍎 la preparava sempre una mia zia paterna appena iniziavano i primi freddi … e, quando andavo a trovarla, senza darmi il tempo di dire nulla, iniziava ad assemblare gli ingredienti, perché diceva che le mele aiutavano a “combattere” i primi malanni della stagione.
Io non so se sia vero … ma posso assicurarvi che la torta preparata così era veramente buonissima e, perlatro, molto facile; la zia non aveva bisogno di un robot da cucina o di impastatrici super sofisticate. Lei utilizzava solo una grande ciotola, una frusta, amore e tanta buona volontà …
Ho provato a replicarla anche io ed il risultato mi è sembrato niente male.
Perché non provate anche voi?!
Ingredienti (per uno stampo da 20 cm):
4 mele golden
Scorza grattugiata di 1 limone 🍋
2 uova intere
1 yogurt bianco greco
20 gr di olio di oliva
40 gr di zucchero semolato
80 gr di farina 00
Mezza bustina di lievito per dolci
Zucchero a velo q.b. (Per decorare)
Procedimento:
In una ciotola mescolare le uova con la scorza del limone, aggiungere l’olio, lo yogurt, lo zucchero e la farina setacciata con il lievito, poi unire le mele tagliate a dadini e versare tutto nello stampo (cospargere la superficie con un po’ di zucchero). In forno per 40/50 minuti a 180 gradi; una volta pronta (fare la prova dello stecchino) cospargere di zucchero a velo.
Dietro ogni scaglia di Parmigiano Reggiano c’è una storia antica, fatta di gesti sapienti, di territorio e di passione. Una storia che il Consorzio del Parmigiano Reggiano, fondato nel 1934, custodisce e promuove da oltre 90 anni, tutelando un prodotto che ancora oggi si realizza con soli tre ingredienti: latte crudo, ricco di fermenti lattici presenti naturalmente, sale e caglio.
Un formaggio naturale, quindi, senza additivi né conservanti, e frutto di una lavorazione artigianale che si tramanda da quasi un millennio.
Per raccontare da vicino questo straordinario patrimonio gastronomico, il Consorzio promuove ogni anno “Caseifici Aperti”, un’iniziativa nata nel 2013, che consente al pubblico di “entrare” e “curiosare” nei luoghi in cui nasce il Parmigiano Reggiano, con l’obiettivo di far conoscere la produzione, ma anche per valorizzare il territorio e la filiera che ruota attorno al Parmigiano Reggiano.
L’edizione 2025 si terrà il 4 e 5 ottobre, coinvolgendo numerosi caseifici nelle cinque province della zona d’origine DOP: Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna (a sinistra del Reno) e Mantova (a destra del Po).
Il “percorso di conoscenza” inizia già nelle prime ore del mattino, quando il latte appena munto viene lavorato nelle caldaie in rame. Qui, il casaro – figura centrale della tradizione casearia – trasforma il latte crudo in formaggio, seguendo una tecnica affinata nei secoli ma rimasta sostanzialmente invariata. La cottura, la rottura della cagliata, l’estrazione a mano delle forme, la salatura in salamoia e, infine, la stagionatura: ogni fase è scandita da gesti precisi, spesso tramandati di generazione in generazione. Ogni forma è tracciata attraverso una marcatura con puntini e una placca di caseina.
Il percorso prosegue poi nelle sale di stagionatura, dove centinaia di forme maturano lentamente su scaffalature in legno, in un silenzio interrotto solo dal suono del martelletto con cui gli esperti (i c.d. battitori), eseguono i controlli di qualità necessari per valutare e certificare le forme.
Dopo almeno 12 mesi, solo le forme idonee ottengono il prestigioso marchio a fuoco del Consorzio. Quelle c.d. “non idonee” vengono sì scartate, ma in realtà riutilizzate per realizzare creme al formaggio, formaggi misti grattugiati, …
A completare l’esperienza, una degustazione guidata, che permette di comprendere l’evoluzione organolettica del Parmigiano Reggiano attraverso le stagionature. A condurre i visitatori in questo percorso sensoriale, spesso sono i Maestri Assaggiatori del Consorzio.
Simone Ficarelli, responsabile dell’Accademia del Parmigiano Reggiano e Maestro Assaggiatore del Consorzio, ci spiega quali sono le caratteristiche di un Parmigiano Reggiano giovane, intorno ai 12 mesi. “Nel formaggio giovane, intorno ai 12 mesi, si percepiscono note fresche e lattiche, quasi vegetali. È un formaggio che richiama il latte e la dolcezza, ha una consistenza più umida e una pasta ancora elastica: riuscire a schiacciarlo con le mani, è un chiaro segno della sua giovinezza. Perfetto come inizio pasto, si abbina bene a spumanti e bollicine secche, grazie alla sua delicatezza.”
Come cambia, invece, il profilo aromatico dopo 24 o 36 mesi di stagionatura?
“A 24 mesi” – continua Ficarelli – “il gusto diventa più sapido, ma resta equilibrato. Emergono note di nocciola, una leggera frutta secca e una sfumatura umami che ricorda il brodo di carne: è il glutammato presente naturalmente nel formaggio a conferirgli questa profondità. Dai 36 mesi in poi, il Parmigiano Reggiano raggiunge la massima espressione della sua complessità aromatica. I cristalli di tirosina diventano più grandi e percepibili sotto i denti, regalando anche una lieve nota amara. Al naso e al palato compaiono sentori di pepe, noce moscata, e una lunga persistenza che lo rende ideale per piatti tipici emiliani come le paste ripiene. In abbinamento, anche un cocktail come il Negroni o un vino dolce lo valorizzano al meglio. Per un tocco goloso, consiglio l’accostamento con miele d’acacia, che esalta l’intensità e l’eleganza delle stagionature più mature.”
Qualche numero …
I numeri della filiera del Consorzio del Parmigiano Reggiano, aggiornati al 2024 confermano la solidità del Parmigiano Reggiano anche sul piano economico. Sono 291 i caseifici attivi, con oltre 4 milioni di forme prodotte e 2,04 milioni di tonnellate di latte trasformato. In crescita il valore al consumo, che ha raggiunto i 3,2 miliardi di euro, così come le esportazioni, salite a 72.440 tonnellate (+8.670 rispetto al 2023). La quota export ha sfiorato il 49%, a testimonianza di un apprezzamento sempre più marcato anche fuori dai confini nazionali. Il confronto con il 2023 evidenzia una crescita costante, sebbene si osservi una leggera flessione nel numero di allevatori e bovine attive. Un dato che sottolinea l’importanza delle politiche di tutela e di valorizzazione della filiera, a cui il Consorzio del Parmigiano Reggiano continua a lavorare con impegno.
Visitare un caseificio significa immergersi in una filiera fatta di artigianalità, rigore e sostenibilità. Un’occasione per capire da vicino cosa rende il Parmigiano Reggiano un prodotto unico al mondo: il legame inscindibile con il suo territorio, l’assenza di additivi, la qualità del latte e l’esperienza umana che trasforma ogni giorno ingredienti semplici in un’eccellenza riconosciuta a livello globale.
Un valore che si esprime in modo ancora più evidente nelle zone di montagna, dove il Parmigiano Reggiano non è solo un’eccellenza gastronomica, ma anche un motore di sviluppo e presidio sociale.
“Il Parmigiano Reggiano contribuisce a fortificare l’economia e a preservare l’unicità dell’Appennino emiliano”, ha detto Nicola Bertinelli, Presidente del Consorzio. “È il più importante prodotto Dop ottenuto in montagna, con oltre il 21,7 % della produzione totale concentrata in caseifici di montagna. In queste aree svantaggiate, il Parmigiano Reggiano permette il mantenimento dell’agricoltura, sostiene le comunità locali, protegge il paesaggio e rappresenta un pilastro economico e sociale non solo per chi ci vive ma per tutti”.
La pasta con le sarde (pasta chî sardi)… il profumo della Sicilia e i ricordi di tanto tempo fa.
Un piatto povero, ma ricco di saperi e di sapori.
Oltre alla mia ricetta (con pinoli tostati), voglio svelarvi qualche piccola curiosità legata a questo piatto simbolo della cucina siciliana, e conosciuto per la sua combinazione di sapori unici che evocano il sole e il mare dell’isola.
Ingredienti semplici, ma ricchi di gusto, per creare un piatto che racconta storie di tradizioni e di cultura.
Una preparazione con origini umili, nata dall’ingegno dei pescatori che utilizzavano ingredienti facilmente reperibili per creare pasti nutrienti.
Tradizionalmente, la pasta con le sarde viene preparata durante la festa di San Giuseppe, una delle celebrazioni più importanti in Sicilia.
E poi… esistono diverse versioni di questo piatto, alcune includono l’aggiunta di pomodoro o mandorle, a seconda delle tradizioni locali. Io … i pinoli tostati!!!
Ingredienti (per 2 persone):
160 gr di spaghetti grandi o bucatini
16 sarde (o alici già sfilettate)
1/2 cipolla
1 cucchiaino di pasta di alici
2 cucchiai di pinoli tostati
q.b. di finocchietto selvatico
100 ml di acqua
1 pizzico di sale
1 pizzico di pepe
2 cucchiai di pangrattato
1 bicchierino di vino bianco
1 filo olio extravergine d’oliva (a crudo)
1 cucchiaio di uva passa
Preparazione:
Passa le sarde sfilettate sotto l’acqua, per poi tamponarle con dei fogli di carta assorbente da cucina: devo essere ben asciutte. Sbuccia la cipolla, e tritala finemente con un coltello. Sbollenta il finocchietto in acqua leggermente salata e dopo averlo scolato taglialo a pezzettini.
In un ampio tegame versa un giro di olio, la cipolla tritata, la pasta di alici, i pinoli tostati e infine il finocchietto tritato, lasciando appassire per qualche secondo. Sfuma con un bicchierino di vino bianco.
Sistema i filetti di sarde in tegame e lasciali rosolare per qualche minuto. Versa il liquido sui filetti di sarde. Lascia cuocere finché i filetti di sarde diventano chiari. Aggiungi a fuoco spento: un pizzico di sale, un pizzico di pepe, un paio di cucchiai di salsa di pomodoro (se si vuole) per insaporire; mescola e sfalda i filetti di sarde fino a raggiungere la pezzatura desiderata e poi aggiungi l’uvetta passa rinvenuta in acqua e poi strizzata. Cuoci la pasta nell’acqua in cui è stato sbollentato il finocchietto e scolala. Nel frattempo, scalda il condimento per la pasta con le sarde. Versa la pasta nel tegame con il condimento per la pasta con le sarde. A fuoco spento, aggiungi un filo di olio e amalgama. Macina ancora un po’ di pepe e se vuoi aggiungi altri pinoli. Servi calda.
In occasione del pranzo didattico conclusivo della 33ª edizione del Corso Cuoco della Scuola di Alta Cucina Accademia Chef di San Benedetto del Tronto, è andato in scena un evento dal forte impatto formativo e sensoriale: “VOYAGER: Giro Gastronomico del Mondo in 80 giorni”, un viaggio immaginario tra culture, tradizioni e sapori ispirato al celebre romanzo di Jules Verne.
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Sotto la guida del Direttore Didattico Roberto Morello e dello Chef Mariano Narcisi, ospiti e partecipanti – tra cui giornalisti, esperti del settore e addetti ai lavori – hanno preso parte a un’esperienza gastronomica dal respiro internazionale. Il progetto ha permesso di esplorare piatti e preparazioni provenienti da diversi continenti, reinterpretati con creatività e innovazione dagli allievi del corso e accompagnati dai vini della Cantina Montecappone SARL/Mirizzi di Jesi (AN).
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Non solo un pranzo, ma un viaggio culturale e formativo. Ogni portata è stata concepita come una tappa simbolica del viaggio di Phileas Fogg e Jean Passepartout: l’obiettivo, scoprire le meraviglie gastronomiche del mondo attraverso ingredienti, tecniche e suggestioni provenienti da altre culture, mantenendo però uno stile moderno e una presentazione colorata.
Tra le proposte, si sono distinti piatti come l’“Arancino di cous cous e caponata di verdure su crema di ceci”, il “Bao con straccetti di manzo glassati al miele, soia e cavolo viola marinato” e il “Risotto al Bobò de camarao, gamberetto croccante al panko e polvere di alganori”, che hanno saputo unire elementi della tradizione con influenze esotiche, dimostrando una buona padronanza delle tecniche culinarie globali.
L’esperienza, poi, è stata resa interattiva grazie all’introduzione di un sistema di valutazione coinvolgente: ogni ospite ha ricevuto cinque gettoni “STELLA” per votare il gradimento del viaggio al termine del pranzo. L’obiettivo collettivo era raggiungere almeno 70 gettoni da inserire nella mongolfiera simbolica del viaggio, vincendo così idealmente la “scommessa” del giro del mondo… “promuovendo” i provetti chef!
Un meccanismo originale che ha trasformato il pranzo in un gioco partecipativo, celebrando lo spirito di avventura e la curiosità del viaggiatore.
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Ma qual è il filo conduttore che è stato scelto per collegare piatti da differenti continenti e valorizzaare l’esperienza formativa degli studenti ed in che modo questa esperienza che unisce tecnica, storytelling e diversità culturale, aiuta concretamente gli allievi a crescere sia sotto il profilo professionale sia personale?
A rispondere è lo ChefMariano Narcisi:
Il filo conduttore è stato sicuramente il libro e, in base alle tappe e alla storia narrata è nata la fusione di tutti i piatti. Questa esperienza ha dato modo ai ragazzi di conoscere preparazioni un pò al di fuori del nostro target, approfondendo così culture diverse da quella italiana.
L’ispirazione è nata da un libro meraviglioso e dalla volontà di voler spaziare su una cucina internazionale, visto che il corso è comunque già completo rispetto a quella italiana. Abbiamo così pensato di spostare l’attenzione sugli ingredienti, piùttosto che sui piatti di una cucina internazionale, realizzando un menù insolito e diverso.
L’iniziativa ha confermato l’approccio didattico dell’Accademia, sempre più orientato a formare professionisti curiosi, competenti e aperti al mondo, capaci di unire solide basi tecniche a una visione contemporanea della cucina come forma di racconto culturale.
Per la ricetta del Risotto al Bobó de camarão, gamberetto croccante al panko e polvere di alganori … LEGGETE QUI … per il resto … restate collegati!
Ingredienti per il condimento:
300 g di manioca o patata
400 g di gamberi rossi già puliti
Zenzero in polvere
250 ml di passata di pomodori
200 ml di latte di cocco
50 ml di Olio Extra Vergine di oliva
½ limone
4 pomodori rossi
1 cipolla
1 spicchio di aglio
Pepe nero, prezzemolo tritato, peperoncino in polvere, sale
Preparazione:
Tagliare in 3 i gamberi e condire con il succo del limone. Sbucciare la manioca o le patate , tagliare a dadini per facilitarne la cottura e cuocere in acqua calda con sale e zenzero per circa 20 minuti. Quando saranno cotte, schiacciare le patate e mettere da parte. Nel frattempo, tritare finemente la cipolla, il prezzemolo, l’aglio e tagliare a dadini i pomodori, precedentemente lavati e privati dei loro semi. In una pentola o padella larga, mettere a scaldare l’olio, far rosolare la cipolla e l’aglio, aggiungere la manioca o la patata, la passata di pomodori, il latte di cocco, il sale e 300 ml di acqua circa. Mescolare bene e cuocete a fuoco medio per una decina di minuti. Si dovrà ottenere una salsa cremosa, non troppo liquida. In ultimo, aggiungere i pomodori, i gamberi e il prezzemolo. Lasciate cuocere per altri 5 minuti, poi correggete a piacere con peperoncino in polvere, zemzero e pepe nero.
Per il risotto:
1, 5 kg di riso carnaroli
Brodo vegetale qb
Burro acido
Latte di cocco
1 lime grattugiato
Parmigiano per mantecare
Per il gambero al panko:
20 gamberetti puliti
Uovo per panare
Panko
Olio di girasole per friggere
Polvere di alga nori da tritare in un mixer
Una vera sinfonia di sapori … il gamberetto croccante, avvolto in una leggere panatura panko, aggiungeva una nota di freschezza marina, mentre la polvere di alganori, infondeva al piatto un tocco di mare, evocando atmosfere lontane e misteriose.
Un altro pezzetto del menù…
Ramen moderno con tartufoSamosa ripieno di pollo e prugneCarrot cake revolution
Io quando sono al mare ho bisogno di piatti veloci e colorati … ma non rinuncio mai alla mia cucina!
Cercare di accontentare tutti in famiglia, rispolverare vecchie ricette e, a volte, dare quel tocco diverso che le rende uniche e speciali.
La fettina di vitello (tagliata molto sottile), qui incontra il pomodorino ciliegino appena scottato, oltre al prezzemolo e (non avendo il vino bianco), la BIRRA BIONDA!
Un piatto che sapeva di buono … il pane fresco e croccante delicatamente imbevuto nel sughetto: inutile dirvi che sono andate a ruba!
La ricetta … qui 👇
Ingredienti (per 4 persone):
8 fettine sottili di vitello
250 g di pomodorini ciliegino, tagliati a metà
1\2 bicchiere di birra bionda
2 spicchi d’aglio (facoltativi)
2 cucchiai di olio extravergine d’oliva
Sale e pepe q.b.
Una manciata di prezzemolo fresco tritato
Pane fresco per accompagnare
Procedimento:
In una padella ampia, scaldare l’olio con l’aglio incappucciato e schiacciato, poi eliminare l’aglio a doratura leggera. Aggiungere le fettine di vitello, farle dorare su entrambi i lati per 1–2 minuti per lato (sono sottili!). Unire i ciliegini, salare e pepare. Versare la birra a filo, schiumando il fondo, e far sfumare a fuoco medio per 2–3 minuti. Spolverare con il prezzemolo tritato, spegnere il fuoco e coprire per un minuto. Servire subito con pane croccante, da intingere nel sughetto.
“TUFFIAMOCI NEI NOSTRI MARI E CONOSCIAMO LA SEPPIA“
A parlarne con me Nicola Ferri, veterinario, esperto in Acquacoltura
La SEPPIA è sicuramente uno dei molluschi più diffusi nei nostri mari; nonostante la sua grossa testa, il corpo con due strane pinne nastriformi e gli occhi molto sviluppati, dal punto di vista gastronomico risulta molto apprezzata.
La sua carne, per di più squisita, contiene poche calorie, così da renderla ideale per la preparazione di piatti semplici, a basso contenuto di colesterolo, ma, nello stesso tempo, altamente energetici.
Che tipo di animale è la seppia?
La seppia è un mollusco della Classe dei Cefalopodi il cui nome si traduce letteralmente in “piedi sulla testa”. I cefalopodi, che presentano un numero di tentacoli pari a otto, vengono classificati all’interno dell’ordine degli Octopoda. Nel caso, invece, fossimo davanti ad animali caratterizzati da un numero di tentacoli pari a 10, parleremo di ordine dei Decapoda.
Quali sono i cefalopodi abitualmente presenti nei nostri mari?
Il polpo e il moscardino rappresentano le uniche specie di Octopoda presenti nei nostri mari.
Per quanto riguarda gli animali della classe Decapoda ,invece, nel Mar Mediterraneo possiamo trovare il Totano, il Calamaro e la Seppia.
Quali sono le specie di seppia più frequenti nei nostri mari?
La seppia viene classificata all’interno della famiglia dei Seppidi. Tra gli esemplari di questa famiglia, soltanto la specie Sepia Officinalis (Seppia mediterranea) è abitualmente pescata nel Mar Mediterraneo.
Come distinguere una seppia fresca da una scongelata?
L’elemento da considerare è la consistenza del nero. In una seppia “fresca”, il nero si presenta fluido e omogeneo. In un prodotto scongelato, il nero assume un aspetto “grumoso”, granulare e disomogeneo.
Come si valuta lo stato di freschezza di una seppia?
Per giudicare lo stato di conservazione di una seppia, è fondamentale considerare lo stato dell’occhio che, nel soggetto appena pescato, si presenta lucido, limpido e trasparente.
Inoltre, il prodotto fresco si presenta sempre “sporco” di nero, con la superfice dorsale scura e la parte ventrale bianca, lucida e tendente al perlato.
Quali sono le sue proprietà nutritive?
Il prodotto è ricco di proteine ad alto valore biologico, e povero in grassi (colesterolo) e di zuccheri. Pertanto, può essere inserito tra le pietanze c.d. ipocaloriche, perché caratterizzato anche da un buon potere saziante; può essere utilizzato in diete finalizzate al controllo di dislipidemie e disturbi del metabolismo degli zuccheri.
Di contro, è un alimento ricco di purine, sostanze che il nostro organismo trasforma in acido urico. Questa particolarità potrebbe rappresentare una fonte di rischio per soggetti affetti o predisposti alla gotta e all’accumulo di acido urico nel sangue.
Le seppie contengono una importante quantità di tessuto connettivo; questo tessuto, che aumenta con l’età e quindi con la taglia dell’animale, risulta poco digeribile quanto il tessuto muscolare. Per questo motivo, a chi soffre di disturbi digestivi, è consigliato il consumo di seppie di dimensioni medio-piccole, di congelarle prima della cottura e di limitarne la quantità, soprattutto in occasione del pasto serale.
Seppie in umido con peperoni (di @carlalacontessina_)
Ingredienti per 4 persone:
1 Kg di seppie di medie dimensioni già pulite
2 spicchi di aglio
3 peperoni rossi
1 cucchiaino di paprika dolce
Sale qb
Peperoncino rosso in polvere qb
Prezzemolo fresco
Procedimento:
Tagliare la seppia a listarelle e farla rosolare in una casseruola con coperchio con olio extravergine di oliva, l’aglio schiacciato e il peperoncino per circa 15 minuti. Salare. Mescolare ogni 3/4 minuti e verificare che vi sia sufficiente liquido di cottura.
Tagliare i peperoni rossi a listarelle, ripulendoli dai semi e dai filetti interni. Unirli alla seppia e continuare a cuocere insieme fino a quando sia la seppia che i peperoni non diventino teneri (circa 30 minuti). Aggiungere un pò di acqua nel caso la preparazione dovesse asciugarsi troppo. Aggiungere la parika dolce durante la cottura e mescolare bene. Servire la seppia in umido con i peperoni accompagnata eventualmente da crostini di pane dorato con aglio e olio in padella. Prima di servire cospargere di prezzemolo fresco.
Con il caldo io non riesco a rinunciare alla mia cucina e mi sforzo sempre di trovare delle preparazioni che riescano a stupire e a stupirmi … ma senza grandi sforzi, anche perchè il tempo per cucinare è sempre pochissimo.
Oggi è la volta della “formaggetta senza sale”, quella che alcuni chiamano anche “primosale”: un formaggio poco calorico, fresco, ottimo da solo, o come secondo piatto accomapagnato da verdure grigliate o da pomodorini, ma anche come condimento per la pasta.
I minuti sono contati e io … mi sono inventata questa ricetta “strepitosa”!
Ingredienti per 4 persone:
400 gr di pasta corta o di spaghetti o linguine (questa volta ho optato per le linguine)
Una decina di pomodorini ciliegini ben maturi
foglie di basilico fresco
1 “primosale” da circa 300 grammi
Olio extravergine di oliva
sale e pepe qb
origano
Procedimento:
Tagliare a piccoli dadini il Primosale e i pomodorini ciliegini in quattro parti; sminuzzare il basilico fresco e mettere tutto in una terrina. Salare, pepare, condire con olio extravergine di oliva e lasciare insaporire e riposare in frigorifero per circa un’oretta. Cuocere la pasta in abbondante acqua salata, scolarla bene e condirla con il preparato. Mescolare con cura e, a piacimento, aggiungere un po’ di origano. Servire.
Il 18 giugno si festeggia la Giornata Mondiale del PICNIC!
Sicuramente un’occasione favolosa per chi ama trascorrere qualche ora all’aria aperta, oppure per quelli che adorano mangiare un boccone in completo relax, o passare un pò di tempo con gli amici informalmente, spizzicando un boccone e sorseggiando un buon calice di vino oppure una colorata bevanda ghiacciata.
Un’occasione speciale, comunque, in cui dare libero sfogo a manicaretti semplici e piccoli piccoli, da afferrare con le mani in tutta libertà e senza badare alle regole imposte dal Galateo … insomma una giornata “mondiale” di cui approfittare per tirarsi fuori dai soliti e rigidi schemi.
Ma sapete le origini del PICNIC?
La tradizione del picnic è nata in Francia nel XVII secolo per “mangiare qualcosa di piccolo”, appunto, un pique-nique.
I nobili francesi infatti, erano soliti presenziare a rigidi pranzi e quindi sentivano il bisogno di qualcosa di meno formale quando andavano alle battute di caccia. A questo proposito incominciarono a mangiare all’aperto in cibo che in qualche modo ottenevano nell’immediato degli animali appena catturati!
In seguito, con il passare del tempo, il PICNIC è diventato un modo di dire, un termine che indica comunque “un pasto all’aria aperta condiviso con altre persone”, in un contesto giocoso e rilassante dove ognuno porta da casa del cibo.
Torte rustiche, paninetti farciti, polpettine sfiziose, insalate di pasta, di riso, di cous cous, frittate colorate a base di verdure di stagione, frutta fresca … tutti cibi rigorosamente “stipati” in allegre ceste di vimini e adagiate su plaid o tovaglie colorate che sanno comunque di festa e di allegria.
Il mio 18 giugno questa volta ho voluto trascorrerlo così … tra polpettine di salmone, pizza rustica con verdure e formaggio, frutta di stagione e un buon calice di vino rosato!
La ricetta del giorno?
Andiamo con le polpettine di salmone e ricotta … semplici da realizzare, sfiziose da mangiare e comode da portare in un allegro e rilassante picnic!
Ingredienti per 10 polpettine:
200 gr di filetto di salmone già cotto in forno
1 uovo intero
2 cucchiai abbondanti di pangrattato
2 cucchiai di Ricotta
Sale
Pepe nero
Basilico
Olio evo qb
salsa di yogurt
400 gr di polpa di pomodoro
1/2 Cipollotto rosso a fette
Procedimento:
In una ciotola sbriciolare il salmone cotto, aggiungere l’uovo, il pangrattato, il basilico tritato, la ricotta, il sale e il pepe. Mescolare con una forchetta. Formare con le mani le polpettine piccole e leggermente schiacciate e disporle su una teglia rivestita di carta da forno, irrorandole con un filo di olio EVO..
Cuocere in Forno caldo a 170 gradi per 10/15 minuti. Una volta cotte, servirle con salsa allo yogurt.
Per la versione al sugo (da mangiare comodamente a casa):
In una pentola capiente versare un filo di olio evo, il cipollotto, il basilico fresco e la salsa di pomodoro.
Cuocere un paio di minuti, salando a piacere e aggiungere le polpette cotte in forno e far insaporire per 6/7 minuti, aggiustando di sale. Coperchiare e far riposare un paio di minuti. Servire. Ho aggiunto un po’ di pistacchio tritato grossolanamente e qualche fogliolina di basilico.
Un mese “pieno” e colorato questo di Giugno 2024 sul mensile NOVELLA CUCINA.
Piovono PACCHERI e POLPETTE … e tante sfiziose ricettine tutte da provare.
Ma lo sapete che i paccheri vengono chiamati anche “schiaffoni”? E che il loro nome sembra che provenga dal rumore che questo formato di pasta – intriso di sugo al pomodoro oppure di sugo alla Genovese – fa cadendo nel piatto o rimescolato, pieno di salsa, nella zuppiera?
A Napoli non è raro sentirsi dire “mo’ ti dò un pacchero”, quando scherzosamente si minaccia una manata al malcapitato di turno!!
E poi ci sono “I Miei Paccheretti Originale 1915” di Pasta Latini (https://www.pastalatini.com/) un’azienda marchigiana in provincia di Ancona, che, nel 1992 ha avuto l’intuizione di riscoprire e rilanciare un grano che era quasi scomparso, quello del “Senatore Cappelli” in purezza: un frumento duro e aristato, con proprietà antiossidanti e antinfiammatorie, scomparso per decenni, e da cui si ottiene una pasta dal colore ambrato (simile a quello della spiga), gradevolissima al palato e molto facile da digerire.
Vi lascio con qualche foto e con un pò di curiosità … Se volete in edicola, o presto qui nel blog, potrete trovare altre storie, altre ricette e altre piccole curiosità!
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