Continuiamo a parlare di tradizione, di Teramo, di piatti che non si dimenticano mai e dei luoghi incantati della città.
E’ domenica e voglio fare un salto nel passato, quando da piccolissima mia madre mi portava alla Villa Comunale a fare due passi e a guardare i cigni e le paperelle. Non credo esista a Teramo un bambino che non sia mai stato con i genitori o con i nonni alla Villa Comunale.
Qualcuno l’ha definita “un’oasi di pace” … ed è proprio così … ci si perde nel verde dei giardini e si torna indietro nel tempo.
Nel 1841 nell’area della Villa, sorgeva l’orto botanico voluto da Ignazio Rozzi, medico e naturalista, animatore della “ Società Economica” della stessa città. Ma, appena dopo la sua morte, nel 1884, l’orto botanico divenne Villa Comunale.
Al centro della Villa un laghetto con papere, cigni, tartarughe … e lungo i viali troviamo diversi cippi funebri dedicati a illustri personaggi teramani.
Nel giardino, nato tra il 1868 e il 1888, troviamo il Museo Civico di Teramo (o Pinacoteca Comunale), che raccoglie, nelle sue 15 sale, molteplici opere, una volta, sede del Tribunale della città. Qui anche l’affresco del pittore Gennaro della Monica, “Bruto e i figli” (1886), chiamato per dipingere il salone della Corte d’Assise del Tribunale.
La Villa Comunale oggi (2021) e la sfogliatella
Ma quale piatto teramano oggi?!
Un po’ fuori stagione … ma sono sempre buonissime, le SFOGLIATELLE alla TERAMANA conmarmellata d’uva.
Questa è la ricetta della mia zia paterna …
Io non sono molto brava e, quando e se decido di prepararle, utilizzo i rotoli di pasta sfoglia già pronti. E poi, dentro, metto solo marmellata d’uva (la sfogliatella mi piace così).
In questi ultimi due anni mi sono piacevolmente “riscoperta” …
Riesco a cogliere le infinite bellezze del nostro territorio coniugandole alla mia passione per la cucina e per la sua meravigliosa tradizione.
Camminando lungo il parco fluviale del Vezzola, qui a Teramo, troviamo la Fonte della Noce, un sito medioevale, di grande importanza per la città, perchè, per molti secoli, ha rappresentato il rifornimento idrico di tutta la sua zona nord.
Si legge in una lapide affissa sul sito …
“La regina venne alla fontana e postisi a mensa sola con la figliola, nell’altra il signor Don Alfonso … si trattennero sino al far della notte“… (Muzio Muzij)
Alla Fonte della Noce fece sosta un paio di giorni la regina Giovanna d’Aragona, arrivata a Teramo per prendere possesso della città nel luglio del 1514.
Lapide affissa nelle adiacenze della Fonte della Nocea Teramo
“Per tutta la durata della cena la Regina non fece altro che compiacersi di tanta benevola accoglienza dei teramani e pregò Nochicchia e il Cancelliere di ringraziare a suo nome tutti i cittadini di Teramo, assicurando che non avrebbe mai dimenticato quelle due serate così piacevolmente trascorse nella loro città” (fonte: IL FUOCO DEI SALAMITA, di Elso S. Serpentini).
Una varietà di ingredienti differenti, una lavorazione complessa e accurata per un piatto tra i più famosi e caratteristici della cucina teramana.
Le virtù teramane … raccontiamo un pò di storia
Inutile dire che ogni famiglia conserva la propria ricetta, il proprio tocco personale … come, naturalmente accade anche a casa mia.
Il linguista italiano Giuseppe Savini, che è stato il primo a studiare in modo sistematico il dialetto teramano, riporta le origini incontestabili del piatto ai Romani, per i quali, il termine “virtù”, indicava anche l’insieme di vari tipi di legumi raccolti i primi giorni del mese di maggio.
Piatto “ufficialmente adottato come proprio dal popolo teramano”, preparazione inizialmente cucinata dall’intera comunità per i più bisognosi. In realtà, questa usanza sembra esserci ancora oggi. Le virtù sono cucinate sempre in grande abbondanza, così da essere offerte e regalate a parenti, amici e conoscenti.Sicuramente è un piatto da condividere in famiglia, di certo contribuisce con il proprio profumo fresco e, per certi versi, suadente a creare un’atmosfera primaverile e conviviale.
Comunque le Virtù teramane, come già detto, rappresentano un “piatto svuota dispensa”, in cui le donne contadine, al termine dell’inverno anche per celebrare la primavera, riversavano tutti i prodotti avanzati nelle credenze, madie e cassetti della cucina ma anche delle cantine. Prelevavano, facendo spazio per i nuovi alimenti, gli “avanzi” di pasta e di legumi, aggiungendo verdure ed essenze di stagione, colte nei propri orti.
Inutile dire che, oggi, ogni famiglia conserva gelosamente la propria ricetta con le proporzioni dei componenti ritenute più equilibrate. Ognuno pensa di avere dei segreti magari tramandati da una nonna o semplicemente acquisiti da pareri o disquisizioni sull’argomento. Anch’io… ho i miei!!!. Ho avuto modo, durante questi anni, di assaggiare tante versioni delle Virtù ma, credetemi, non ho mai trovato quelle che somigliassero alle mie virtù di famiglia. Sono convinta che ognuno di noi, attraverso questo piatto della tradizione, conserva e rivive i sapori e i ricordi dell’infanzia, della tradizione domestica, della naturalezza degli affetti.
La preparazione è piuttosto lunga e laboriosa, dovendo cucinare legumi e verdure separatamente per poi assemblarli con sapienza. Bisogna fare attenzione a inserire ogni componente in un ordine ben preciso, aggiungendo pasta di diversi formati e colori. E poi, ci sono le “essenze” che personalmente ordino per tipo come “mazzetti di fiori”, sarà perché sono romantica. Verranno, in seguito, cotte con un piedino stagionato di prosciutto, olio EVO e burro. Borragine, aneto, maggiorana, salvia, pipirella, sedano e prezzemolo. Non mancano le pallottine di carne fritte e, infine, i carciofi pastellati utilizzati per guarnire ogni porzione.
Mi accorgo di aver già svelato alcuni segreti anche se quello più importante è lo stato d’animo con cui si esegue la ricetta… è l’incanto che fa la differenza!!!
Il risultato!? Un’armonia di sapori e profumi irresistibile!!
Girello di vitello (per preparare la genovese, il cui sughetto è versato dentro al pentolone di verdure e legumi per dare sapore). Carne mista per brodo (manzo, pollo e gallina).
Procedimento:
Pulire le verdure, tagliarle e lavarle in molta acqua; bollirle separatamente. Alcune verdure e alcuni legumi (ad esempio le zucchine, le carote, i carciofi, le fave e i piselli ) nella mia famiglia vengono cotti trifolati in padella con cipolla e olio evo). Cuocere i legumi, precedentemente lasciati in ammollo almeno per 12 ore, separatamente in acqua fredda.
Preparare il brodo di carne che servirà per “allungare” le virtù e insaporirle.
In una casseruola capiente rosolare il sedano, le carote, il cipollotto e l’aglio fresco tritati in abbondante olio EVO: aggiungere il girello di vitello e lasciarle cuocere sfumando con vino bianco e acqua.
In una pentolona alta fare un soffritto di sedano, carote, cipollotto e aglio fresco tritati in abbondante olio EVO, unendo le verdure scottate e i legumi cotti con la loro acqua di cottura, lasciando insaporire per circa 30 minuti. Aggiungere il brodo di carne mista.
A parte preparare l’intingolo con le erbe aromatiche, le spezie e il sale assieme al burro, olio, prosciutto crudo. Friggere le patatine a dadini e metterle da parte. Lo stesso per i carciofi pastellati.
Cuocere a parte la pasta tricolore che, poi, verrà aggiunta alla minestra in cottura.
Versare l’intingolo, il sughetto della genovese e le patatine fritte. Mescolare bene.
Decorare ogni singolo piatto con carciofi pastellati.
P.S. A casa mia, dopo le Virtù, si era soliti mangiare la carne a genovese con un contorno di piselli trifolati.
Vi capita mai di svegliarvi la mattina già stanchi e di non avere voglia di alzarvi dal letto!? Forse il tempo o forse la situazione balorda degli ultimi mesi o forse la Primavera (che stenta ad arrivare)!
Io cerco sempre di trovare una soluzione: puntare un obiettivo, ma che sia facilmente raggiungibile e che sia dolce (ne vado pazza)!!
Vi propongo un tortino al riso rosso (polverizzato), con l’aggiunta di succo d’arancia 🍊 e di crema dolce al pistacchio. Beh … con una mezz’oretta a me è tornata la carica!!! 😍
Una tappa in Abruzzo, con la Rivista Novella Cucina del Mese di Aprile 2021, per riscoprire la tradizione contadina e festeggiare la Pasqua in famiglia.
Tanti ricordi dell’infanzia che si intrecciano tra loro, i racconti di famiglia, usanze e riti che resteranno sempre nel cuore e che cercherò con tutte le mie forze di tenere stretti riproponendoli alle persone più care quando se ne presenterà l’occasione.
Avete voglia di viaggiare un pò con me e con la mia tradizione?
La Pupa è uno dei dolci pasquali abruzzesi, assieme alla pizza di Pasqua (che qualcuno chiama anche spianata). A base di biscotto e decorata con tantissima fantasia, serve a rallegrare le tavole imbandite per questa occasione speciale.
Ma cosa simboleggia?
Pare sia sinonimo di fertilità e rinascita portate dalla primavera. Ha origini pagane e la tradizione “vuole che sia preparata durante la settimana Santa per poi essere consumata la mattina di Pasqua” durante il noto “sdjuno”!
L’ho preparata con la pasta frolla aromatizzata all’arancia, l’ho colorata con i colori per alimenti e … con tanta fantasia…
Eccola qui e l’ho chiamata “La Contessina” … perchè ogni Pupa ha un suo nome.
Un intreccio romantico di zuccherini, rose, canditi, cuori e stelle!
Ho voluto essere un po’ originale e unire la mia passione per la cucina a quella per il disegno a mano libera!
Se solo avessi più tempo a disposizione ….
E così, per festeggiare la Festa di San Valentino (e poi mia figlia si chiama Valentina) ho preparato questa speciale “Crema al cioccolato bianco e pistacchio” con una confezione speciale, ideata e disegnata da me!!!
Una delle prime volte che mi è capitato di scambiare due chiacchiere con un Molisano sulla mia passione per la cucina, mi è stato confermato che l’Abruzzo e il Molise hanno tanto in comune sulla gastronomia e sulle tradizioni culinarie. La scorsa estate ho scoperto per caso dei dolci tipici del luogo visitando Montenero di Bisaccia: sono chiamati “CELLINI” o “CELLI CHIENI” e sono ripieni di una farcia a base di mosto cotto.
In Abruzzo, invece, esistono “Li cillitt’” (gli uccelletti), farciti di marmellata d’uva, arricchita con cioccolato, mandorle e cannella (così, nella tradizione della mia famiglia): però, sono di dimensione più piccoli rispetto ai “cellini” molisani.
li cillitt’ di Sant’Antonio
Dedicati a Sant’Antonio Abate (protettore degli animali e festeggiato il 17 gennaio), li cillitt’, nel Teramano (ma ormai diffusi in tutto l’Abruzzo), costituiscono il simbolo della dedizione e del rispetto dell’uomo verso il Santo, e sono accompagnati da una serie di riti propiziatori (la benedizione degli animali, per preservarli da maltrattamenti e malanni) e l’accensione dei focaracci (il fuoco). Come è facilmente intuibile, vengono chiamati così per la loro forma, che riproduce quella di un delicato uccellino.
Nella mia città, a Teramo, ogni anno, il 17 gennaio, su iniziativa dell’Associazione Culturale Teramo Nostra, dopo la celebrazione della Santa messa nella Chiesa di Sant’Antonio di Padova, viene organizzata la tradizionale benedizione degli animali, davanti a Porta Melatina.
Ogni famiglia, come mi trovo a ripetere più volte dinanzi a ricette che appartengono alla tradizione, conserva la sua, personale, con aggiunte, trucchi e segreti; anche le forme degli uccelletti sono diverse tra loro: basta scorrere in questi giorni le pagine dei più noti social…
Anche io ho approfittato della ricorrenza e, lasciandomi trasportare dalla tradizione del territorio per celebrarla degnamente, facendola così diventare un’occasione speciale, mi sono cimentata nella preparazione de li cillitt’ (anche se qualcuno mi ha detto che sembrano piuttosto dei piccioni)…
Tantissimi pomodorini infornati con spezie e polvere di nocciole abbinati a una crema di bufala e pomodorini ciliegini … non poteva mancare il basilico fresco!!!
Posso dire di essermi innamorata di questo piatto di pasta?
“Una ciambella tutta rosa” Chi mi conosce un po’ sa quanto sono romantica e quanto sia amante del colore rosa e sa anche che mi piace riempire la mia casa di fiori e colori. Beh … oggi voglio tingere la mia giornata di rosa e questa torta/ciambella fa proprio al caso mio … non lo credete anche voi?! La Ciambella alla Barbabietola, una torta soffice soffice, bella da vedere e … sono certa che anche a voi piacerà da morire … Io l’ho realizzata con il mio BimbyTM6, ma è sufficiente un minipiner e una planetaria per frullare bene gli ingredienti. La base? Barbabietola rossa già lessata e cacao amaro!!!
Io credo nel rosa. Io credo nel baciare, baciare un sacco. Io credo che ridere sia il modo migliore per bruciare calorie. Io credo nell’essere forti quando tutto sembra andare male. Io credo che le ragazze felici siano le più carine, Io credo che domani sarà un altro giorno, Ed io credo nei miracoli. (Audrey Hepburn)
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